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Il cibo del futuro: cosa metteremo sulle nostre tavole?

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Divulgo la cucina consapevole, a basso impatto e a base vegetale, assieme a buone pratiche
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La crisi climatica ci costringerà ad abbandonare alcune vecchie abitudini e tra queste, sono comprese anche quelle alimentari. L’agricoltura intensiva, la produzione di carne e l’uso eccessivo di imballaggi in plastica sono solo alcune delle pratiche che contribuiscono alle emissioni di gas serra, alla deforestazione e alla perdita di biodiversità.

Ma non solo: quello tra cibo e ambiente è un legame a doppia via. Uno studio del 2020 condotto dal Food Climate Research Network e dal Chatham House ha evidenziato che quello stesso cambiamento climatico a cui l’agricoltura contribuisce, rappresenta anche una minaccia per la sicurezza alimentare. Secondo questo studio, infatti, la produzione di cibo è vulnerabile ai cambiamenti climatici. Basta pensare ai fenomeni meteorologici estremi che si sono verificati nella prima parte del 2023 in Emilia Romagna e in tutta la Pianura Padana.

Quindi, quale sarà il cibo del futuro? Sempre più spesso si sente parlare di novel food. Ovvero, tutti quegli alimenti “nuovi” rispetto a quelli tradizionalmente intesi prima del 1997, data del regolamento CE 258 in materia di legislazione alimentare. Non intendo la pizza liofilizzata di Ritorno al Futuro, o i pranzi in pillole dei film fantascientifici degli anni 70. In tutta l’Unione Europea, e anche in Italia, sono tantissime le start-up che in modo etico e sostenibile si impegnano per portare in tavola il cibo del futuro.

Pesce sostenibile? Meglio se alieno

Una delle cause della pesca intensiva è lo svuotamento dei mari. Io non mangio pesce ormai da tanti anni, ma quando qualche mese fa ho conosciuto Carlotta Santolini – biologa marina e co-fondatrice di Blue Eat – ho capito quale grande potenzialità ha il suo progetto. Blue Eat è una startup italiana tutta femminile che recupera le specie aliene e invasive che popolano i mari. Uno degli obiettivi principali è limitare i danni che possono provocare negli ecosistemi del Mediterraneo.

Mangiare queste specie è una soluzione tutto sommato semplice per trasformare la presenza di pesci alieni nel mar Mediterraneo in una risorsa. Ma anche pee spostare l’attenzione dei consumatori dalle tradizionali specie target già gravemente sfruttate. Alcuni esempi? L’ormai famosissimo granchio blu, una specie autoctona delle coste atlantiche americane che sta dando numerosi problemi. Ma anche Il pesce serra, ormai piuttosto comune anche nei mari italiani, o la rapana venosa, un mollusco proveniente dal Mar del Giappone.

“Occorre inserire queste specie in una filiera che ne garantisca lo sfruttamento e argini le conseguenze negative della loro proliferazione in altri habitat rispetto a quelli di provenienza”, ha dichiarato più volte Carlotta Santolini. Ora serve soltanto qualche chef che inizi a utilizzare queste specie, come già fa Chiara Pavan, da sempre attenta al tema della sostenibilità ambientale.

Il cibo del futuro: le alghe

Un’azienda della Galizia, in Spagna, raccoglie alghe, di tantissime specie differenti. Si tratta di Algas Las Patrona, una impresa tutta al femminile che potrebbe trovare spazio anche in altre aree, compresa l’Italia. Le alghe oggi sono spesso una decorazione o trovano spazio soltanto nei ristoranti di cucina orientale.

In realtà possono essere una verdura alternativa la cui coltivazione ha grandissimi benefici sulla biodiversità marina. Oltretutto, le alghe sono in grado di catturare la CO2 e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, quindi ben venga trovarle sotto forma di tempura!

Coltivare senza terra

Da qualche anno in Italia si è assistito alla diffusione di start-up specializzate nella coltivazione di insalate e altri piccoli ortaggi mediante la tecnica dell’idroponica. Questa innovazione elimina completamente la necessità di suolo e consente un risparmio incredibile di acqua, pari al 90/95%. Ma perché dovremmo prestare attenzione a queste realtà emergenti?

La risposta a questa domanda risiede nell’importanza cruciale dell’acqua come risorsa. Nel corso degli ultimi due decenni, le risorse idriche globali hanno subito una drastica riduzione del 20%. E l’agricoltura rappresenta il settore che assorbe ben il 70% delle risorse idriche mondiali disponibili. Di conseguenza, la pratica dell’idroponica rappresenta un passo fondamentale verso il risparmio di acqua.

Ma non è tutto qui: ci sono ulteriori vantaggi ambientali. Le verdure coltivate in sistemi idroponici crescono in un ambiente completamente protetto. Questo riduce la necessità di utilizzare pesticidi o altri prodotti chimici, garantendo così prodotti più salutari e di alta qualità. Inoltre, queste verdure non richiedono il tradizionale processo di lavaggio, perchè crescono in un ambiente pulito e controllato.

Quindi, oltre a rappresentare una soluzione vitale per la gestione delle risorse idriche, aziende come Planet Farms o Agricola Moderna stanno anche contribuendo a migliorare la sicurezza alimentare, la sostenibilità e la qualità dei prodotti agricoli. In un’epoca in cui protezione dell’ambiente e gestione responsabile delle risorse sono sempre più cruciali, queste innovazioni sono fondamentali per plasmare un futuro più sostenibile.

Quando la terra non è terra

Ma c’è anche chi recupera risorse, in piena economia circolare. Circular Farm a Scandicci è una startup agricola senza terra che dal 2020 grazie a ricerche, studi e innovazione tecnologica, trasforma in risorsa quelli che sono scarti: i fondi di caffè.

I loro funghi coltivati su fondi di caffè e destinati sia alle nostre tavole sia a medicinali, è solo una delle attività (Funghi Espresso). Ma la vita dei fondi di caffè continua anche dopo la produzione di funghi, e sono destinati al compostaggio.

Guarda il mio intervento a Camper, su RAI1, proprio a proposito di cibi del futuro.

Il cibo del futuro è anche non sprecarlo

Un altro tassello fondamentale per rendere equo e sostenibile il cibo del futuro è quello di evitare il più possibile lo spreco alimentare. Come? Salvando cibo, o riutilizzando gli scarti. E anche in questo settore ci sono numerose aziende e start-up che si occupano di “salvare cibo ancora buono”.

To Good To Go, per esempio, è la app più scaricata in Italia nel settore food&drink, che permette di acquistare a un prezzo scontato il cibo ancora buono ma che altrimenti finirebbe buttato.

Tante altre aziende trasformano gli scarti in prodotti: Biova per esempio produce birra dal pane avanzato, ritirandolo da panetterie e GDO. Per la produzione, utilizza il 30% di pane al posto del malto, e riesce a fare anche di più – tra cui degli snack con gli scarti degli scarti, come la trebbia.

Nell’industria della moda sono tante le aziende che creano tessuti da scarti alimentari, come per esempio Orange Fiber che recupera bucce di agrumi.

Anche nel settore beauty, sono tanti gli esempi di economia circolare. Naste Beauty recupera bucce e semi di mela di varietà antiche utilizzate per produrre succhi di frutta biologici. La cosa interessante è che li trasforma in principi attivi per cosmetici che fanno bene a noi e all’ambiente. Kymia trasforma il mallo del pistacchio in ingrediente di cosmetici anti-age mentre Barò Cosmetics deve il suo nome al comune di Barolo. E sai perché? Da queste zone preleva la materia prima post torchiatura di scarti di vinacce d’uva nebbiolo coltivata con metodo biologico per produrre i propri prodotti.

E non mancano progetti sociali come Recup. I suoi volontari recuperano il cibo invenduto nei mercati, lo selezionano e lo condividono con i partecipanti, ma anche con associazioni e enti.

A presto!

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