Il risparmio idrico parte da ciò che mettiamo nel piatto. Basti pensare che il maggiore consumatore mondiale di acqua è il settore agricolo: utilizza il 70% del totale di acqua potabile. E di fronte alla sfida di nutrire una popolazione mondiale in crescita, la chiave è quella di ridurre l’impronta idrica del cibo. In poche parole, trovare il modo di produrre più cibo usando meno acqua.
La carenza di risorse idriche è una delle principali sfide che ci troviamo ad affrontare. Una sfida su scala globale, che può essere affrontata anche con soluzioni locali, ma mirate. Non si tratta solo di adottare buone pratiche che fanno risparmiare acqua. Chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti, di accorciare i tempi passati sotto la doccia, o di pianificare meglio i lavaggi con la lavatrice sono importanti, ma non sufficienti.
Quando i media ci parlano di consumo idrico, si riferiscono solitamente a quello domestico. Ma le attività domestiche rappresentano meno del 4% del nostro consumo totale giornaliero di acqua, con il restante 92% che rientra in due categorie “invisibili”: la produzione industriale di articoli per la casa – come carta e cotone – e la produzione di alimenti. La scelta alimentare è una tra i principali responsabili del consumo di risorse idriche, eppure il messaggio spesso arriva distorto.

Secondo il report di WWF sui consumi idrici del nostro paese, i consumi alimentari rappresentano l’89% circa della nostra impronta idrica giornaliera. In media, consumiamo due litri d’acqua al giorno per bere, e ne utilizziamo a nostra insaputa quasi 4.000 per alimentarci. Ma il reale consumo di acqua – e di conseguenza, l’impronta idrica del cibo che mangiamo – varia e di molto a seconda delle abitudini alimentari che adottiamo.
Come si calcola l’impronta idrica del cibo
Il concetto di impronta idrica è stato sviluppato dal prof. Arjen Hoekstra nei primi anni 2000. Consente di calcolare l’utilizzo (diretto e indiretto) di acqua di un individuo, comunità o impresa. L’impronta idrica, quindi, è il volume totale di acqua dolce impiegato lungo l’intera catena di produzione per ottenere un bene o servizio.
Non è possibile determinare con esattezza il numero di litri utilizzati nella produzione di uno specifico alimento. Ma alcune organizzazioni hanno provato a fare una stima, considerando i processi tipicamente coinvolti.
Per esempio, il Water Footprint Network ha provato a calcolare l’impronta idrica del cibo per aiutarci a comprendere a che scopo le nostre risorse (limitate) di acqua dolce sono consumate e inquinate. Quindi, l’impronta idrica considera l’uso dell’acqua sia diretto che indiretto di un processo, prodotto, azienda o settore. E include il consumo di acqua e l’inquinamento durante l’intero ciclo di produzione, dalla catena di approvvigionamento all’utente finale.
“L’interesse per l’impronta idrica è radicato nel riconoscimento che l’impatto sui sistemi di acqua dolce può in definitiva essere collegato al consumo umano, e che questioni come la scarsità d’acqua e l’inquinamento possono essere meglio comprese e affrontate considerando la produzione e le catene di approvvigionamento nel loro complesso”, afferma il professor Arjen Y. Hoekstra.
Qui, sul sito di Water Footprint Network, puoi confrontare quanta acqua viene utilizzata per realizzare una varietà di alimenti e prodotti. Diversi studi, tra cui quello di Mekonnen e Hoekstra, sostengono che per produrre un chilo di carne di manzo sono necessari mediamente circa 15.000 litri di acqua. Per un chilo di carne di maiale la stima è di 4800 litri di acqua, per un chilo di carne di pollame è di 3700 litri. Mentre per produrre un chilo di pomodori sono necessari 200 litri, per un chilo di lattuga 237 litri, per un chilo di patate 287 litri.
Come ridurre l’impronta idrica del cibo: 5 suggerimenti
La maggior parte dell’acqua “nascosta” nei cibi che arrivano sulla nostra tavola viene consumata nella prima parte del processo produttivo. E comunque, la quantità dipende da molti fattori, tra cui la tipologia di sistema agricolo adottato – se intensivo o meno – e le caratteristiche fisiologiche e climatiche del luogo in cui viene prodotto, che ne influenzano la richiesta di acqua.
Nel nostro piccolo possiamo provare a fare la differenza, e scegliere un’alimentazione con una bassa o minore impronta idrica. Come? Ecco 5 piccoli suggerimenti.
1. Elimina o riduci gli alimenti di origine animale.
Diversi studi hanno rivelato come gli alimenti di una dieta vegetariana utilizzino fino al 55% in meno di acqua rispetto a quelli di una dieta onnivora. Si stima che l’assenza di prodotti di origine animale dalla dieta occidentale porterebbe a un risparmio giornaliero di oltre 4.150 litri di acqua per persona. Ma anche solo seguire una dieta ovo-lacto-vegetariana avrebbe un ottimo impatto.
Sarebbe anche importante prestare attenzione alle modalità con cui vengono allevati gli animali che producono gli alimenti che consumiamo. Sebbene animali allevati al pascolo e allevati in stalla utilizzino volumi relativamente simili di acqua, l’impatto è molto differente. Acquistare del formaggio fatto con latte grass fed significa che l’alimentazione delle vacche che l’hanno prodotto si basa principalmente sull’erba che cresce spontanea nei prati dove sono lasciate circolare in libertà. Gli animali allevati secondo il metodo convenzionale invece sono nutriti a mais e soia coltivata secondo metodi intensivi, con ampio uso di risorse idriche, oltre che di fertilizzanti e antiparassitari.
2. Acquista prodotti di stagione
Mangiare di stagione è più ecologico sotto molti punti di vista. E lo è anche per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche: coltivare prodotti di stagione – piuttosto che prodotti coltivati in serre riscaldate – richiede l’utilizzo di meno acqua.
3. Acquista alimenti di origine biologica
Le aziende biologiche gestiscono le risorse idriche in modo molto più sostenibile, riducendo i consumi e cercando una maggiore efficienza. In genere mantengono una struttura tale da consentire una maggiore capacità di infiltrazione e ritenzione idrica, richiedendo quindi una minore irrigazione. Anche se in agricoltura biologica serve più tempo per coltivare la stessa quantità di prodotti rispetto all’agricoltura industriale, il volume totale di acqua consumata è spesso equivalente, o addirittura inferiore. E soprattutto, senza pesticidi né fertilizzanti chimici, il deflusso delle fattorie biologiche è molto meno dannoso per l’ambiente naturale circostante.
4. Acquista cibo locale
Scegliere alimenti a chilometro zero o prodotti in prossimità è un ottimo modo per supportare l’agricoltura locale, oltre che a ridurre la quantità di acqua impiegata nei trasporti e sottratta alle comunità che popolano quello specifico territorio.
Puoi leggere altri vantaggi dell’acquistare locale nel mio articolo scritto per Koroo.it.
5. Spreca di meno
I numeri dello spreco alimentare sono altissimi: si stima che quasi 1/3 della produzione mondiale venga buttata via. E nel momento in cui gettiamo un alimento, sprechiamo anche le risorse utilizzate per produrlo, compresa l’acqua.
Anche se negli ultimi anni la tendenza è cambiata, grazie ad una maggiore consapevolezza del valore dello spreco, quasi la metà del cibo buttato nei paesi sviluppati avviene tra le mura domestiche. Per cui, la prossima volta – prima di gettare del cibo nel cestino – pensa a quanta acqua è servita per produrlo e prova a riutilizzarlo!
Fonti
Antonelli M. Greco F. et. al., L’impronta idrica dell’Italia, 2014
Hoekstra, A.Y., The hidden water resource use behind meat and dairy, Animal Frontiers, 2012
Hoekstra, A.Y., Water for animal products: a blind spot in water policy, Environmental Research Letters, 2014
Lascia un commento