Nel precedente post sul tema #menoplastica ti ho parlato di quanto la plastica sia diffusa e delle piccole strategie che insieme ai miei bambini cerchiamo di attuare per poter vivere, appunto, utilizzando meno plastica, e ridurre così il nostro impatto ecologico in maniera semplice ed efficace.
In pochi spiegano però perchè la plastica sia tanto dannosa.
Gli oggetti di plastica che utilizziamo quotidianamente contengono sostanze chimiche pericolose per la nostra salute. Eppure i supermercati sono pieni di acqua in bottiglie di plastica e alimenti confezionati nella plastica.
La plastica può essere un pericolo per la salute umana. Non tutta la plastica, ma molti tipi, e a seconda delle classi di composti plastici con cui abbiamo a che fare ogni giorno, possiamo essere esposti a un ampio numero di tossine con differenti effetti.
E se questo è già grave per un adulto, lo è ancora di più per i bambini! L’EFSA – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – ha infatti calcolato una dose tollerabile giornaliera di queste sostanze (e già questo dato fa capire quanto siano potenzialmente diffuse e facili da incontrare), ma l’ha fatto sulla base di un adulto di 60 kg. Persistono i dubbi sugli effetti che potrebbero avere nei bambini.
Il BPA
Facciamo un passo indietro, al 1891: quell’anno il dottor Alexandr Dianin sintetizzò il Bisfenolo A (BPA) combinando due molecole di fenolo e una di acetone. Ben presto questa molecola semplice diventò uno dei monomeri principali per la sintesi del policarbonato, una resina trasparente e dura con cui per decenni si sono prodotte moltissime plastiche, tra cui le plastiche di uso alimentare. È anche usato per la produzione di lattine per alimenti e altri oggetti di utilizzo quotidiano, tra cui alcuni dispositivi medici, compresi quelli utilizzati nei reparti di terapia intensiva neonatale.
Il vantaggio dell’uso di BPA nella produzione di polimeri plastici è che crea plastiche più dure, resistenti agli urti, al calore e ai campi energetici dei forni a microonde. Per questo motivo, il BPA è un prodotto chimico tra i più utilizzati al mondo. Negli ultimi 60 anni il consumo di bisfenolo A è aumentato vertiginosamente.
La sua produzione è iniziata negli Stati Uniti nel 1957 e in Europa l’anno successivo: ne vengono sintetizzati annualmente tra 3 e 4 milioni di tonnellate (di cui 1 milione solo negli USA) con percentuali di crescita annue intorno al 3-5%, e che per un paese come la Cina arrivano a sfiorare il 13% tra il 2000 e il 2006.
È facile individuare i polimeri plastici che contengono il BPA, contrassegnati dal triangolo con le tre frecce e il numero 7 all’interno: è usato principalmente nella produzione di policarbonati e resine, spesso alla base di prodotti di uso quotidiano come contenitori per alimenti, giocattoli, bottiglie, prodotti dentali, dispositivi elettronici, cd e attrezzature mediche.
Ma il bisfenolo A viene impiegato anche nella produzione di lattine per alimenti e della carta termica, quella di etichette e scontrini fiscali che maneggiamo tutti i giorni.
Il risultato è una elevata presenza di bisfenolo A nell’ambiente, a causa della sua massiccia produzione e del consumo giornaliero.
Ma non solo: la molecola di BPA è un legame abbastanza instabile, un composto poco volatile ma moderatamente solubile in acqua (120-300mg per litro di acqua a temperatura ambiente).
Nella pratica significa che il BPA è poco diffuso nell’atmosfera, dove viene rapidamente ossidato e degradato. Però non accade lo stesso nel suolo: il BPA si accumula nel terreno, dove avvengono anche fenomeni di interazione soprattutto in terreni ricchi di ferro, cadmio e piombo.
Anche se molti studi hanno sottolineato come il BPA disperso nell’ambiente (acqua e suolo) sia biodegradato da una grande varietà di ceppi batterici, e in tempi che vanno dai 12 ai 20 giorni la sua pericolosità è alta. Primo, perchè questo processo origina anche sottoprodotti di degradazione, chiamati BDPs, con tossicità inferiore, ma comunque presente.
Secondo, perchè il BPA ha una grandissima diffusione ed è onnipresente nell’ambiente a causa del rilascio continuo. Ciò avviene non soltanto durante la sua produzione, ma soprattutto nella dispersione dei rifiuti plastici, un tema che si è (finalmente) imposto all’attenzione di tutti.
I rischi del bisfenolo-A sulla nostra salute
Le ricerche non lasciano dubbi: il bisfenolo A è caratterizzato da una tossicità acuta e lo studio dei suoi effetti tossici, cancerogeni ed estrogenici si è intensificato negli ultimi anni, visto l’aumento della sua diffusione.
Il BPA è stato identificato come interferente endocrino, e disturba le funzioni del nostro sistema endocrino comportandosi per alcuni aspetti in modo simile a un estrogeno naturale, il 17-β-estradiolo.
Quali sono gli effetti? Il BPA è la causa di un aumento delle problematiche legate alla riproduzione, tra cui l’alterazione del ciclo ormonale. Questo provoca degli effetti devastanti nella popolazione femminile, ma anche negli uomini, perchè il BPA risulta in grado di interferire anche col normale comportamento dei caratteri androgini che sono essenziali per un corretto sviluppo degli individui maschili e dei loro apparati riproduttivi, abbassando il livello di testosterone.
Il BPA inoltre ha effetti mutageni (può danneggiare il DNA) e cancerogeni: in una ricerca del 2013 si è dimostrato che anche a basse dosi altera lo sviluppo delle ghiandole mammarie e aumenta l’incidenza dei tumori al seno. Altri studi hanno dimostrato come il BPA promuova la proliferazione di cellule cancerogene alla prostata, alle ovaie e al colon.
Ma non è tutto. Altri studi hanno dimostrato che il BPA, causando uno squilibrio del sistema endocrino, può favorire lo sviluppo dell’obesità e può contribuire all’insorgenza di malattie cardiache e di diabete, e ha effetti negativi sul fegato e sulla sua funzione mitocondriale anche a basse concentrazioni.
La commissione Europea ha condotto una valutazione dei rischi del BPA sia nel 2003 che nel 2008, entrambe hanno concluso che, agli attuali livelli di esposizione, il BPA è sicuro per l’uomo e l’ambiente (Plastics Europe, 2012). L’autorità europea per la sicurezza alimentare ha condotto ampie valutazioni di rischio per l’uso del BPA, concludendo che l’uso della sostanza negli imballaggi alimentari non presenta rischi per la salute. Diversi paesi europei però, insoddisfatti per la mancanza di rigore e controllo nelle tecniche di valutazione di questa ricerca, hanno attuato misure per vietare il BPA in alcuni prodotti per bambini. La Francia ha sospeso la vendita di biberon contenenti BPA nel 2010, e successivamente nello stesso anno, anche l’UE ha vietato la presenza del BPA nei biberon.
Studi e ricerche sono ancora in corso, ma se vogliamo proteggere la nostra salute e quella della nostra famiglia, iniziamo a evitare il più possibile l’esposizione al BPA.
Come evitare il BPA
Secondo diversi studi pubblicati da Environmental Health Perspectives, la causa principale di esposizione al BPA è il cibo.
Questo perchè il bisfenolo-A contenuto in policarbonati e in vernici che ricoprono contenitori e lattine migra dagli imballaggi di plastica agli alimenti di cui ci nutriamo.
Una ricerca pubblicata da Environmental Health Perspectives ha messo in luce questa correlazione tra esposizione al BPA e cibi preconfezionati. 20 partecipanti, provenienti da 5 famiglie hanno seguito una dieta basata su alimenti freschi, non confezionati in contenitori di plastica e di latta. In soli 3 giorni i livelli di BPA nelle urine si sono ridotti di oltre il 60%. Con il ritorno ad una dieta basata su cibi confezionati, i livelli di BPA sono tornati alle quantità precedenti.
Perciò, per ridurre il livello di esposizione al BPA evita il più possibile:
– alimenti confezionati in plastica, soprattutto alimenti pronti che possono essere scaldati in forno a microonde. Il calore infatti aumenta la possibilità che il BPA migri all’interno del cibo;
– acqua e bevande in bottiglie di plastica
– bevande gassate in lattina (compresa birra)
– alimenti in lattina (come legumi lessati, salse e pelati, etc).
Gli alimenti conservati in lattine sono particolarmente esposti al BPA, rilasciato dalle vernici che ricoprono i contenitori. Queste vernici hanno la funzione di proteggere il metallo dalla corrosione e il cibo dalla contaminazione durante le fasi di sterilizzazione e stoccaggio, e sono fatte da resine il cui principale componente è il BPA. Se ti capita di consumare legumi già lessati o pelati – che sono generalmente conservati in lattina – preferisci i contenitori in vetro, o scegli prodotti che abbiano la dicitura “BPA free”.
Per quanto riguarda l’acqua conservata in bottiglie di plastica, alcuni studi non reputano sicure nemmeno le confezioni con la dicitura “BPA-free”. Sono state rilevate concentrazioni significative in un range tra 0,07 e 4,21 μg/dm3 in acqua immagazzinata in bottiglie di policarbonato. E i valori possono aumentare in caso di bottiglie di plastica riutilizzate per più anni, e sottoposte ad un aumento di temperatura.
Avete presente le confezioni di bottiglie di plastica trasportate nei camion, o stoccate in magazzini non refrigerati se non addirittura fuori, al sole? L’aumento della temperatura favorisce una maggior migrazione del BPA in acqua a causa dell’aumento nell’idrolisi dei polimeri. Perciò… butta subito quella bottiglietta di plastica dimenticata in auto da chissà quanto tempo!
Altri modi molto comuni per entrare in contatto con il BPA sono scontrini e biglietti aerei, ferroviari e della metropolitana. Tutti oggetti composti da carta termica, ricoperta di BPA. Il momenti di maggior rilascio dei componenti tossici si ha nel momento successivo alla stampa, quando la carta è ancora tiepida. Già da qualche anno anche in Italia è in commercio un tipo di carta termica senza BPA, ma quanti in realtà la stanno utilizzando?
per approfondire:
un interessante studio del 2015 sulla diffusione ambientale del bisfenolo A: Global Assessment of Bisphenol A in the Environment
Piazza F, Zambotto M, (2014). Migrazione di Bisfenolo-A e Nonilfenolo da terreni contaminati a colture alimentari (tesi di laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il territorio del Politecnico di Milano)
Soto A, Briksen C, Schaeberle C, & Sonnenschein C (2013). Does cancer start in the womb? Altered mammary glanddevelopment and predisposition to breast cancer due to inutero exposure to endocrine disruptors. J. Mammary GlandBio. Neoplasia, 199-208.